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redazione@insideoutrend.itUn appartamento scenografico nel cuore di Milano diventa il primo showroom virtuale per raccontare il design in modo inedito, social e alla portata di tutti.
Un movimento di rottura, provocatorio, votato all’eccesso e alla sperimentazione giocosa di volumi e cromie, animato da effetti cangianti e luccicanti.
Ancora oggi sono molti gli aspetti di moda e design che riprendono quell'attitudine all'emancipazione e al culto della trasformazione - cifra stilistica degli Anni Settanta.
Con le sue atmosfere suggestive e ricche di contrasti, Tropical Chic è uno stile eclettico, che delinea accostamenti audaci, tra forme minimal e colori brillanti.
Cos’è il Pensiero trasformativo, quali sono le Prospettive di significato e come può uno Spazio di evasione introverso migliorare la nostra esperienza di vita lavorativa e nel quotidiano.
Imbattersi in un “dilemma disorientante” è per molti raro. Si tratta di un problema per il quale le nostre esperienze e conoscenze pregresse non forniscono alcuna soluzione.
A partire dagli effetti di questo dilemma si inaugura una fase di riflessione, di messa in discussione, di nuova consapevolezza e di cambiamento che coinvolge quelle che Mezirow chiama le “prospettive di significato”, schemi di riferimento personali entro i quali sono assimilate e trasformate tutte le nuove esperienze.
La pandemia per molti è stato questo, un attivatore di dilemmi disorientanti creati da un regime di reclusione forzato che ci ha spinto spesso a farci domande spinose, che fino a quel momento l’ubriachezza di un ritmo di vita accelerato ci stava facendo volentieri dimenticare e rimandare.
È stato soprattutto un momento di evasione dagli stimoli assordanti e dalla ridondanza del quotidiano, un’occasione di distacco in uno spazio protetto, che ci ha liberati dall’inerzia di un modo di pensare passivo e alienante, e ci ha spinto a una riflessione profonda su aspetti chiave della nostra vita, a esplorare strade inedite e a recuperare la nostra dimensione personale ponendo l’attenzione su cosa volessimo davvero e sul come volessimo farlo.
Quello dell’evasione è uno spazio di transizione tra ciò che è un modo di pensare confinato e uno libero.
Idee, relazioni, riflessioni personali: questa nuova prospettiva più intima e lucida ha avuto un impatto concreto e immediato, portando alcuni a un cambio radicale della propria visione umana e professionale, e altri a un calibrato aggiustamento. Liberi dalle incombenze e dal sovrappensiero, ci siamo concessi uno spazio-momento di comprensione e sperimentazione lasciando che i nostri cervelli si muovessero su potenziali idee, imprescindibili per rinnovare e innovare.
Dotati di una nuova sensibilità critica e di un nuovo nucleo valoriale di riferimento, siamo riusciti a rompere le abitudini di pensiero e ad accogliere un punto di vista davvero trasformativo, concentrandoci - forse per la prima volta - su senso e prospettive per noi carichi di significato.
Quello dell’evasione è uno spazio di esplorazione, trasformazione e perfezionamento.
Quella profondità di riflessione così travolgente oggi è stata nuovamente smarrita - con il ritorno alla “normalità” non siamo più riusciti a esercitarla. Perché? Cos’è cambiato?
Tutto quel pensare aveva origine in un determinato momento, in un luogo preciso e con una sua velocità. Per poterla raggiungere, infatti, è necessario prendere le distanze da una routine ad alti stimoli, ricca di distrazioni esterne, e prendere del tempo.
“La velocità non aiuta il pensiero, e certamente non quello a lungo termine. Il pensiero richiede pause e riposo, abbisogna di «prendere tempo», di ricapitolare i passi fatti, di ispezionare accuratamente il luogo raggiunto e l’opportunità o meno di raggiungerlo. Pensare significa distrarre la mente dal compito preposto, che è sempre quello di correre e tenere costante la velocità.” (Modernità liquida, Zygmunt Bauman)
Questo principio non è in realtà una novità, soprattutto nel mondo del lavoro. Google, ma anche Facebook, Apple, LinkedIn, Atlassian, hanno intuito ben prima della pandemia l’importanza di mettere a disposizione del dipendente del tempo e un ambiente favorevole per elaborare le proprie riflessioni e i propri progetti personali. Spesso la maggiore creatività e competenza che ne scaturisce viene infatti trasferita anche sul lavoro con risultati davvero disruptive.
Il pensiero complesso e l’innovazione richiedono condizioni di immersione particolari, che si sviluppano principalmente in due fasi: una fase concentrativa e una riposante. Casa e ufficio dovrebbero fornire uno spazio per soddisfare entrambi i modi di pensare, consentendo così a chi ne usufruisce di esprimere il suo pieno potenziale.
Quindi, quali caratteristiche dovrebbe avere uno spazio di evasione introverso?
Il design deve proteggere l’attenzione, incoraggiare le attività riparative e disporre l’utente dei giusti strumenti per la condivisione delle conoscenze. In generale, dovrebbe supportare tutti quei comportamenti che stimolino le tre reti neurali fondamentali dell’attenzione esecutiva, dell’immaginazione e della salienza, dando priorità ad abitudini di pensiero creative, che vanno dalla concentrazione al riposo.
Questo spazio dovrebbe limitare gli stimoli irrilevanti che deviano gli sforzi per concentrarsi e tutelare la privacy con barriere fisiche che offrano rifugio dalle distrazioni esterne. Il controllo sullo spazio, inteso come gestione di parametri quali l’illuminazione e la temperatura, aumenterebbe ulteriormente il comfort dell’utente che sarebbe così libero di creare le proprio condizioni ambientali ideali durante la permanenza.
Tuttavia, non stiamo parlando di un ambiente completamente chiuso ed ermetico, che, a differenza di quanto si possa immaginare, sarebbe al contrario sfavorevole alla concentrazione. Lo spazio di evasione introverso è uno spazio di tregua, non di solitudine.
Sebbene la prima fase del processo sia sicuramente quella di “svuotare la mente”, è altrettanto sicuro che questo non equivalga allo svuotare anche il tavolo. Vogliamo allestire un contesto che possa offrire stimoli mirati e deve pertanto contenere tutti gli strumenti utili a nutrire e far atterrare i nuovi pensieri. Chi ne usufruirà avrà bisogno di un accesso minimo a strumenti, come il Wi-Fi, per incorporare ed esteriorizzare le proprie idee e pensieri prima che questi vadano persi.
Il ritmo tra concentrazione e riposo può essere lento, ma le massime prestazioni si verificano quando questo tempo di transizione è più rapido: gli arredi, informali e flessibili, dovrebbero suggerire l’adozione di varie posture e fondere così l’opportunità di concentrarsi con stimoli abbastanza vari da sollecitare l’elaborazione delle idee.
È noto a tutti poi che “bighellonare” agevoli il pensiero. Questi spazi dovrebbero essere in grado di garantire una certa mobilità, avere dimensioni tali da potersi muovere fluidamente all’interno.
Il movimento favorisce lo sviluppo e il recupero delle funzioni cognitive, supportando la rete predefinita a entrare in funzione. Come dimostrato da uno studio del 2014 di Stanford, la produzione creativa di una persona aumenta in media del 60% quando si cammina. Questo avviene sia all’interno che all’esterno.
L’accesso visivo alla natura e all’aria aperta è necessario. L’abbondante luce naturale e le viste all’esterno migliorano la concentrazione.
Secondo John Scott e Beck Johnson di Haworth, per tenere alto il coinvolgimento e la concentrazione, ulteriori aspetti chiave sono acustica e rumore: “Sono necessari circa 70 decibel per migliorare le prestazioni creative. Qualunque cosa più bassa di quella, come una conversazione tranquilla, che è di circa 50 decibel, rischia di essere troppo silenziosa. Qualunque cosa più alta, sopra gli 85 decibel, che è come il traffico cittadino sentito dall’interno di un’auto, è in realtà troppo alta e fonte di distrazione. È questa interessante gamma di circa 70 decibel che diviene la gamma ideale. Questo è il motivo per cui molte persone preferiscono andare in un bar a lavorare”.
La pandemia ci ha lasciato qualcosa dentro, una profondità di pensiero che non va abbandonata ma anzi aiutata a esprimersi fino al suo compimento. È stata per molti un’inattesa occasione di riscoperta, di incubazione e cambiamento, una condizione che meriterebbe di essere costantemente rinnovata nel tempo.
Lo spazio di evasione introverso, in fin dei conti, vorrebbe essere proprio questo: uno spazio di transizione che permetta di mantenere in dialogo l’esperienza personale con le teorie e le premesse di fondo che orientano il nostro “fare” portandolo ad avere un impatto, come suggerisce il nome di questa rivista, Fuori e Dentro.
Il bisogno di pensare è ciò che ci fa pensare. (Theodor W. Adorno)
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